Sentenza
n.491/2009 A
REPUBBLICA ITALIANA
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IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE
composta
dai seguenti magistrati:
Dott. Vito MINERVA Presidente
Dott. Rocco DI PASSIO Consigliere
Dott.ssa Cristina ZUCCHERETTI Consigliere
Dott.ssa Maria FRATOCCHI Consigliere
Dott. Piergiorgio DELLA
VENTURA Consigliere relatore
ha pronunziato la seguente
nei giudizi di appello, riuniti ai sensi dell’art. 335 del c.p.c.., iscritti ai nn. 29972, 30050, 30214 e 30362 del registro di Segreteria, proposti rispettivamente:
1) dal Procuratore regionale della Corte dei conti per la regione Lazio (appello principale, iscritto al n. 29972);
2)
dal
dr. Vittorio COLOCCI, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovan Vincenzo
Placco, Domenico Paternostro e Elio Vitale, elettivamente domiciliato presso lo
studio di quest’ultimo in Roma, viale Mazzini, n. 6 (appello
incidentale, n.
30050);
3)
dal
dr. Riccardo FATARELLA, rappresentato e difeso dall’avv. Anna Maria Miranda ed
elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, corso
Vittorio Emanuele, n. 284 (appello incidentale, n. 30214);
4)
dal
dr. Giuseppe GRAZIANO, rappresentato e difeso dagli avv.ti Leopoldo de’ Medici
e Filippo Lubrano, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo
in Roma, via Flaminia, n. 79 (appello incidentale, n. 30362),
la
sentenza n. 635/07 depositata in data 2.5.2007, emessa dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei
conti per la regione Lazio.
VISTI gli atti e documenti di causa;
UDITI, nella pubblica udienza del
giorno 24 marzo 2009, il consigliere relatore dr. Piergiorgio Della Ventura, il
Vice Procuratore generale dr. Alfredo Lener, nonché gli avv.ti:
§
Domenico
Paternostro e Elio Vitale per il dr. Colocci;
§
Maria
Rosaria Russo Valentini per il dr. Fatarella;
§
Manlio
Racco per il dr. Di Bitetto;
§
Fabio
Fabbrini per il dr. Palombi;
§
Maria
Stefania Masini, per il dr. Graziano.
La Procura regionale della Corte dei
conti presso la Sezione giurisdizionale per la regione Lazio, con atto del
4.8.2005 citava in giudizio alcuni dirigenti e dipendenti dell'Azienda Sanitaria
POLICLINICO UMBERTO I di Roma, in relazione al presunto danno erariale
ammontante a:
-
€
183.129,00 il dr. FATARELLA (direttore generale);
-
€
402.411,00 il dr. GRAZIANO (direttore sanitario);
-
€
603.618,00 il dr. COLOCCI (direttore amministrativo);
-
€
183.129,00 il dr. DI BITETTO (titolare ufficio acquisti);
-
€
603.618,00 il dr. PALOMBI (titolare ufficio lavori).
Dette somme avrebbero rappresentato
la quota parte a ciascuno di essi ritenuta addebitabile (rispettivamente 10%,
20%, 30%, 10%, 30%) di un complessivo danno di euro 2.012.056,00, formato dalle
seguenti voci di specifici danni:
1) decremento
di valore di attrezzature radiologiche acquistate (per 1°e 2° Clinica
Chirurgica) ma mai utilizzate = € 331.296,00;
2) spesa
per lavori inutili (quanto alla ristrutturazione dei locali della 1° Clinica
Chirurgica) perché mai terminati = € 180.760,00;
3) danno
da disservizio: impedimento ad una p.a. a rendere i servizi per i quali è stata
istituita = € 1.000.000,00;
4) danno
all'immagine, ossia sfiducia dell'utenza nella sanità pubblica a seguito del
clamore insorto sul disservizio del Policlinico (e quindi minori guadagni per
il dirottarsi dell'utenza stessa verso la sanità privata e maggiori spese per
il ripristino dell'immagine danneggiata) = € 500.000,00.
Tali danni si sarebbero verificati
nell'ambito di un programma di ristrutturazione edilizia dei Reparti di
Radiologia della 1° e 2° Clinica Chirurgica, collegato ad un contestuale
procedimento di acquisto delle relative attrezzature radiologiche.
La tesi accusatoria muoveva
dall’assunto secondo cui le persone sopraindicate avrebbero male esercitato i
propri compiti, ciascuno per quanto di competenza e avrebbero omesso di
coordinarsi tra loro, al fine di addivenire ad un risultato proficuo per l’ente.
Dal mancato coordinamento e dalla superficialità nell’affrontare la ristrutturazione
dei reparti di radiologia sarebbe derivato un danno per l’erario in termini di
spesa inutile, decremento di valore, disservizio e all’immagine.
Più in particolare, la realizzazione
del programma si sarebbe svolta fra il 1996 ed il 2004 e - mentre quanto agli
acquisti non avrebbe avuto problemi, venendo le attrezzature radiologiche consegnate
regolarmente - quanto ai lavori avrebbe incontrato invece gravi difficoltà per
la mancanza di dati tecnici sulle attrezzature di cui avrebbero dovuto essere
dotati i locali; mancanza che avrebbe reso impossibile dimensionare particolari
strutturali dei locali stessi (impianto elettrico, impianto di condizionamento,
schermature rx, ecc.) necessari alla funzionalità delle apparecchiature da
installarvi; il che avrebbe imposto varie sospensioni dei lavori e poi - una
volta conosciuti tali dati - la necessità di lavori aggiuntivi per uno
specifico (e in precedenza non previsto) adeguamento dei locali.
Per tali motivi, il programma di
ristrutturazione, relativamente ai lavori della 1° Clinica chirurgica non
avrebbe proprio raggiunto il fine previsto, perché i lavori - iniziati nel 1997
- sarebbero stati sospesi due volte (nel 1998 e nel 1999) senza essere mai più
ripresi, per mancata autorizzazione delle necessarie opere aggiuntive, cosicché
i lavori iniziati furono alla fine abbandonati (1.3.1999) ed i locali caduti in
grave degrado ambientale e sanitario.
Il programma per la 2° Clinica
chirurgica avrebbe invece raggiunto i fini previsti, ma con molto ritardo. Ciò
perché i lavori - iniziati nel 1996 - dopo essere stati più volte anch’essi
sospesi, furono seguiti - su interessamento peraltro della Procura attrice - da
necessari lavori aggiuntivi (1.10.2000 e 11.2.2004), cosicché il Reparto di
radiologia - consegnata l'opera finita
solo l'1.3.2004 - sarebbe entrato finalmente in funzione.
Quanto agli acquisti, il programma
sarebbe stato pregiudicato dal fatto che l'acquisto delle attrezzature -
avviato nel 1997 poco dopo i lavori edilizi e, di per sé, ineccepibile -
avrebbe subito le conseguenze delle difficoltà insorte sul fronte dei lavori.
In particolare, in conseguenza delle varie sospensioni dei lavori e poi -
quanto alla 1° Clinica - dell'abbandono dei lavori stessi, non fu possibile
utilizzare le attrezzature specialistiche, pur regolarmente consegnate e collaudate
(salvo alcune di esse, destinate ad altri Reparti) a causa dell'indisponibilità
dei locali dove avrebbero dovuto essere allocate: locali che - per le
sospensioni, le inadeguatezze tecniche, la mancata conclusione o la tardiva
conclusione dei lavori - non sono risultati idonei a riceverle ed a farle
funzionare. Di conseguenza, dette attrezzature sono rimaste per anni abbandonate
in scantinati ancora imballate; il che avrebbe determinato un loro decremento
di valore, nonché l'impossibilità di fornire agli utenti un miglior servizio
sanitario ed infine - essendo insorto sulla stampa un grande clamore al
riguardo - una perdita d'immagine per l'Istituto ospedaliero.
Siffatto complessivo risultato
negativo del programma di ristrutturazione veniva addebitato dalla Procura ad
una carenza di coordinamento fra le varie entità (amministrative ed operative)
del Policlinico coinvolte nel programma, cioè fra le varie direzioni (generale,
amministrativa e sanitaria), il reparto preposto a fare i lavori ed il reparto
preposto agli acquisti.
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=
Con la sentenza indicata in
epigrafe, la Sezione giurisdizionale per il Lazio ha condannato i sigg.ri Fatarella,
Graziano e Colocci a € 187.500 ciascuno e ha mandato assolti i sig.ri Di
Bitetto e Palombi.
La Sezione ha effettuato una
articolata disamina della natura del concetto di “mancato coordinamento”, di
cui all’atto di citazione del PM, che individuava la condotta dannosa addebitata
ai convenuti appunto nella carenza della dovuta azione di coordinamento.
In particolare, a giudizio del
Collegio di prime cure, “la commissione -
integrativa dell’omissione – sarebbe consistita nell’adozio-ne delle delibere”
(…) e ciò col chiaro sottinteso che sarebbero state appunto siffatte delibere a
dover coordinare e sarebbero perciò le stesse a non averlo fatto”. La
condotta omissiva, quindi, si sarebbe risolta nell’adozione di delibere che
avrebbero rappresentato gli atti con i quali sarebbe stata commessa la
omissione contestata. Tale impostazione, sempre secondo la Sezione, troverebbe
conferma nel fatto che la Procura ha individuato e graduato le responsabilità
dei singoli in base alla loro partecipazione o meno a dette delibere (o alla
loro permanenza in carica alla data delle delibere).
L’omesso coordinamento, a giudizio
della Sezione giudicante, non rappresenta invece una condotta omissiva mediante
commissione bensì in una “omissione pura e semplice” consistita, nella fattispecie,
nella violazione degli obblighi immanenti alla funzione dirigenziale di essi
convenuti, che imponeva loro di adottare un comportamento positivo volto a
garantire il pieno e tempestivo conseguimento del risultato del programma di
ristrutturazione e che era costituito appunto dal coordinamento delle forze operative
impegnate a realizzarlo.
Partendo da tale impostazione, la
Corte territoriale ha ritenuto sussistente nella fattispecie una responsabilità
per omesso coordinamento da parte del Direttore generale, del Direttore amministrativo
e del Direttore sanitario del Policlinico e quindi a condannarli, in quanto è
esclusivamente su di loro che sarebbe gravato il dovere di coordinamento non
adempiuto; sono stati viceversa mandati assolti il dirigente dell’ufficio
tecnico e il dirigente del provveditorato, in quanto ritenuti meri esecutori,
ai quali non incombeva nessun onere specifico di coordinamento o di raccordo
con altre figure.
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=
Avverso la sentenza ha interposto
appello il Procuratore regionale.
Ad avviso dell’appellante, la
ricostruzione dell’impostazione accusatoria, effettuata con la pronuncia in
questione, sarebbe errata: l’omissione contestata con l’atto di citazione
sarebbe cioè un semplice non facere e
non già una condotta omissiva mediante commissione; omissione pura e semplice
di un obbligo di fare derivante dalla posizione dirigenziale rivestita dai convenuti.
La Procura afferma di non avere mai
ritenuto di individuare la contestata omissione di coordinamento nell’adozione
di atti amministrativi; la stessa serie di delibere elencate nella citazione
avrebbe avuto il solo scopo di ricostruire con esattezza la vicenda, non già di
inquadrare il comportamento dei convenuti come omissione mediante commissione.
A questi sarebbe allora stata
contestata una semplice omissione: il non essersi ciascuno di loro attivati
adeguatamente per raggiungere il risultato della ristrutturazione delle
radiologie della I e II clinica chirurgica e aver lasciato materiale
radiologico inutilizzato. Tale omissione si sarebbe concretizzata in un mancato
coordinamento dell’azione di ciascuno, in relazione a quella degli altri; ai
convenuti non si imputava di non aver adottato atti dal contenuto diverso da
quelli richiamati, bensì non aver adottato comportamenti (e non solo atti)
idonei al raggiungimento di una soluzione diversa da quella che poi si è avuta.
Le delibere, dunque, non costituirebbero lo strumento dell’omissione, ma solo
gli elementi per una ricostruzione temporale e procedimentale degli eventi e
per una valutazione del livello di consapevolezza di ogni convenuto.
Evidenzia poi il PM appellante che,
alla luce della riforma del pubblico impiego operata con il decreto legislativo
n. 29/1993 (che ha separato funzioni di indirizzo politico da funzioni
gestorie), il ruolo della dirigenza è oggi ben diverso da quello del passato:
al dirigente sono demandati, innanzitutto, compiti di carattere organizzativo e
gestionale, di coordinamento e di controllo.
Nel campo sanitario, precisa parte
appellante, il decreto legislativo n. 502/1992 (figlio della medesima fonte di
delega del decreto legislativo n. 29/1993, cioè la legge n. 421/1992) nel
trasformare le vecchie UUSSLL in Aziende sanitarie, ha attribuito quelle che
erano le competenze proprie del vecchio Comitato di gestione ad un Direttore
generale, organo monocratico che assomma in sé tutte le funzioni che sono
proprie degli organi collegiali di altri enti pubblici. Egli allora – prosegue
sempre l’appellante - non sarebbe assimilabile agli organi gestionali, quanto
piuttosto agli organi di indirizzo politico; la sua stessa nomina è politica (è
di competenza della Giunta regionale) benché il legislatore abbia preteso che,
in considerazione della specificità del settore sanitario, colui che viene
chiamato a ricoprire un tale ruolo abbia comunque competenze tecniche
specifiche, in grado di assicurare una gestione professionale dell’azienda
sanitaria.
Se al Direttore generale è pertanto
attribuito il ruolo di vertice politico–gestionale dell’ente (in ciò
assimilabile, secondo il PM, al ruolo delle Giunte degli enti territoriali o
del CdA delle Società), il Direttore sanitario e quello amministrativo sono
chiamati ad adiuvarlo per tutti i profili di carattere sanitario l’uno e amministrativo
l’altro, con particolare riferimento proprio al coordinamento della dirigenza
di più basso livello.
Accanto agli organi di vertice
(Direttore generale, sanitario ed amministrativo) si pongono poi gli altri
dirigenti dell’ente i quali, in relazione alla loro qualifica, hanno la
responsabilità per gli atti con rilevanza esterna propri del settore cui
vengono preposti, ma soprattutto l’obbligo di coordinamento dell’azione del proprio
ufficio in relazione a quella degli altri.
In altri termini, secondo parte
attrice, se al Direttore generale di una ASL spetta il ruolo di coordinamento
delle varie strutture dell’ente sotto il profilo più strettamente politico con
indicazione dei compiti di ciascuna struttura e con attribuzione dei relativi budget, in ciò adiuvato rispettivamente
dal Direttore amministrativo e da quello sanitario, spetta però ai soggetti
preposti alle singole strutture trasformare tali indicazioni in atti e fatti,
mediante un’azione di coordinamento degli uni con gli altri.
Non sarebbe allora possibile
ritenere, come farebbe la sentenza appellata, che il dirigente abbia un ruolo
di mero esecutore: la dirigenza vede al proprio interno differenti livelli ed
anche quello posto al gradino più basso non può mai essere considerato come
mero esecutore. In una realtà quale quella del Policlinico Umberto I, struttura
sanitaria tra le più grandi d’Europa, ritenere il Provveditore o il Dirigente
dell’Ufficio tecnico meri esecutori di decisioni altrui sarebbe riduttivo del
loro ruolo ed in contrasto con la
valenza attribuita alla dirigenza pubblica dalle recenti riforme.
Nella fattispecie, ritiene parte
appellante che i danni erariali siano stati la conseguenza di un gravissimo
mancato coordinamento tra le strutture dell’ente preposte alla realizzazione
dei lavori, quelle preposte all’acquisizione delle attrezzature radiologiche,
la direzione generale, quella amministrativa e quella sanitaria.
Infatti, i lavori di
ristrutturazione sarebbero stati decisi ed appaltati senza prima conoscere le
specifiche tecniche delle attrezzature radiologiche che si sarebbero dovute
installare nei locali oggetto dei lavori; la conseguenza è stata che questi
sono stati oggetto di ripetute sospensioni proprio perché – secondo
l’appellante - era sconosciuta la tipologia delle opere da effettuare in
relazione alle apparecchiature da installare.
La programmazione e la progettazione
iniziale dei lavori sono stati effettuati secondo il PM con superficialità ed
approssimazione, senza acquisire quelle notizie ed informazioni necessarie in
relazione all’uso che si sarebbe dovuto fare delle strutture.
È mancato cioè, per la Procura, un
qualsivoglia coordinamento tra l’ufficio tecnico e la direzione sanitaria,
necessario a definire, in sede di progettazione, le direttive tecniche delle
opere da realizzare in relazione alle esigenza mediche e alle specifiche
tecniche del materiale da installare; tale coordinamento è mancato anche con
l’ufficio acquisti onde evitare, come invece è avvenuto, che risultassero improvvidi
l’acquisto e la consegna del materiale radiologico; la conseguenza è stata che
i beni sono stati consegnati allorquando i lavori di ristrutturazione non erano
ancora terminati e che parte di tale materiale è rimasto inutilizzato e
conservato per anni imballato.
La su detta mancanza di dialogo e di
coordinamento tra le varie strutture e la leggerezza con la quale è stata
affrontata tutta la questione, sono per il PM alla base dei danni erariali per
i quali egli aveva agito in giudizio.
Pertanto, il Procuratore non
condivide l’impostazione del Giudice di prime cure, secondo cui sarebbe spettato
unicamente a chi ha “deciso” i lavori preoccuparsi delle specifiche tecniche
delle apparecchiature da installarvi: questo non può essere compito della Dirigenza
politica di un ente quanto piuttosto della dirigenza tecnica, rappresentata
appunto dal dirigente dell’ufficio tecnico e dal Provveditore. In tale ottica,
prosegue parte appellante, il dirigente dell’ufficio tecnico (dr. Palombi)
avrebbe dovuto, prima di cimentarsi in una progettazione, interrogarsi circa la
tipologia di macchinari da installare in immobili che erano destinati a un
reparto di radiologia; analogamente il direttore dell’ufficio acquisti (dr. Di
Bitetto) non si sarebbe mai posto il problema, nel predisporre il capitolato ed
il contratto per l’acquisto delle apparecchiature, della inutilizzabilità dei
locali e avrebbe consentito che parte del materiale venisse consegnato e
lasciato totalmente inutilizzato.
Alla responsabilità dei primi si
deve aggiungere, per il PM, anche quella del dirigenti di vertice. Ed infatti
Il direttore sanitario non sarebbe mai intervenuto durante la fase di
progettazione, al fine di offrire le indicazioni di propria competenza
necessarie ad assicurare lavori idonei alle esigenze degli utenti e degli
stessi sanitari che vi avrebbero dovuto operare.
Il direttore generale e quello
amministrativo non avrebbero svolto alcun ruolo di coordinamento tra la
struttura preposta alla progettazione e l’ufficio competente per l’indizione
delle gare.
Questi ultimi a loro volta avrebbero
proceduto in via autonoma, senza minimamente porsi il problema di un
coordinamento tra l’azione di ciascuno e quella degli uffici concorrenti al
raggiungimento del comune obiettivo di dotare l’ente di strutture più moderne e
funzionali.
Non è allora condivisa la sentenza
che ha assolto da ogni responsabilità i dirigenti di livello inferiore e
viceversa ha condannato, peraltro in parti uguali, solo quelli di vertice e
senza tener conto del differente coinvolgimento, anche temporale, di ciascuno.
L’appellante chiede quindi la
riforma della sentenza impugnata nella parte in cui assolve i convenuti Di
Bitetto e Palombi e, di conseguenza, anche la riforma della parte relativa alla
ripartizione degli addebiti tra tutti i convenuti; ripartizione che, osserva il
Procuratore, seguendo l’impostazione accolta nella sentenza ha condotto ad una
condanna del Dr. Fatarella superiore alla stessa iniziale richiesta dell’atto
di coitazione.
In conclusione, parte attrice chiede
che questo Giudice, in riforma dell’impugnata sentenza n. 625 del 2 maggio 2007
della Sezione giurisdizionale Lazio, voglia condannare i sigg.ri FATARELLA,
GRAZIANO, COLOCCI, DI BITETTO e PALOMBI, in favore dell’Azienda Policlinico
Umberto I di Roma e ciascuno in relazione ai fatti rispettivamente e
complessivamente addebitati nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado,
al pagamento delle seguenti somme:
-
PALOMBI: € 603.618,
-
COLOCCI: € 603.618,
-
GRAZIANO: € 402.411,
-
FATARELLA: € 183.129,
-
DI BITETTO: € 183.129,
oltre
rivalutazione, interessi legali dalla sentenza al soddisfo e spese di giudizio,
o a quelle differenti che saranno ritenute di giustizia.
= ° =
I condannati sigg.ri Fatarella,
Colocci e Graziano hanno proposto appello incidentale.
La difesa del dr. Fatarella contesta
la decisione di prime cure; ricorda che egli fu in servizio fino al 1997, e poi
dal 1998 al 2001; i capitolati relativi alle opere in questione vennero
predisposti nel periodo della sua assenza, coma anche le gare. Nel 1999,
tornato alla direzione dell’ospedale, istituì il Dipartimento risorse tecnologiche,
proprio per unificare Provveditorato e Ufficio tecnico, ai fini di un poiù
efficace coordinamento per i lavori da eseguire. Le macchine furono consegnate
dopo la sua cessazione, nel 2001: non potrebbe dunque sussistere alcuna
responsabilità. Chiede la completa assoluzione.
Il dr. Colocci, con gli avv.ti
Paternostro, Placco e Vitale, sostiene di essersi sempre coordinato con la
direzione dell’Ufficio tecnico dell’Azienda e non decise mai nulla senza aver
prima interpellato gli organi sanitari, al contrario di quanto sostenuto dal
primo Giudice. Ricorda anche le due sospensioni dei lavori, nel settembre 1998
e marzo 1999 per la I Clinica, oltre a quelle sospensioni nel gennaio 1998 e
ottobre 1999 per la II Clinica, in tutti i casi concesse dal direttore dei
lavori e delle quali egli non fu informato. Successivamente, ad aprile 1998 fu
colpito da un grave infarto e lasciò poco dopo il servizio. In generale, non vi
fu alcuna carenza di coordinamento né erano prevedibili le successive esigenze
manifestate dai medici (che avrebbero portato alle sospensioni dei lavori);
semmai, le carenze vi furono in fase di controllo sull’effettivo andamento dei
lavori. Chiede l’assoluzione.
Gli avv.ti de’Medici e Lubrano, per
il dr. Graziano, ugualmente chiedono l’assoluzione. Lamenta parte appellante
che la sentenza abbia svolto un ragionamento esclusiva mentre astratto, senza
in alcun modo dimostrare la colpevolezza del direttore sanitario, il quale fu
in servizio solo nel periodo dell’adozione delle deliberazioni, ma non durante
l’esecuzione dei lavori, cioè quando – secondo la prospettazione del PM regionale
nell’atto di citazione – si realizzarono i comportamenti illeciti, fonte di
danno. Il dr. Graziano nulla omise di quanto era in suo potere per coordinarsi
con gli altri, né comunque i primo Giudice ha dimostrato tali mancanze.
Evidenzia poi la prescrizione dell’azione, in relazione al fatto che il dr.
Graziano cessò dal servizio a marzo 1998, e gli stessi danni si verificarono a
marzo 1999 (I Clinica) e luglio 2000 (II Clinica), cioè alla data di abbandono
definitivo dei lavori: la citazione dell’agosto 2005 sarebbe quindi tardiva. E’
comunque assente ogni possibile responsabilità del dr. Graziano, che non aveva
alcuna attribuzione in merito all’esecuzione dei lavori (ma solo in fase di
approvazione e aggiudicazione). Per quel che rigurada la determinazione del
danno, contesta l’appellante sia il danno da decremento di valore delle
attrezzature (non giustificato), sia quello da disservizio (puramente ipotetico
e non comprovato in alcun modo), sia infine quello al’immagine (insussistente,
e non certo desumibile da un articolo di stampa). In ogni caso, ritiene del
tutto esagerata la quota di danno – 30% - attribuita al direttore sanitario.
= ° =
Con memoria integrativa depositata
il 2.3.2009, il dr. Graziano ha ribadito e ulteriormente illustrato le proprie
argomentazioni.
L’appellante incidentale, dopo aver
ribadito di aver rassegnato le proprie dimissioni dall’incarico di direttore
sanitario in data 3.3.1999, ha evidenziato che la normativa a quell’epoca
vigente – art. 3 del D.Lgs. n. 502/1992, come modificato dal D.Lgs. n. 517/1993
– disponeva che tutti i poteri gestionali nelle aziende sanitarie erano del
direttore generale (comma 6), mentre il direttore sanitario (comma 7) si
limitava a dirigere i servizi sanitari e a fornire pareri al direttore generale.
E’ solo dopo le modifiche recate dalla legge n. 229/1999, norma intervenuta
dopo la sua cessazione dal servizio, che viene stabilito che i direttori amministrativo
e sanitario coadiuvano il direttore generale, partecipando alla direzione
dell’azienda.
Da ciò si dovrebbe ricavare che
nessuna incombenza riguardava l’appellante in ordine alla programmazione e
progettazione iniziale dei lavori. Tali addebiti sarebbero stati da muovere,
semmai, nei confronti di altri soggetti, rimasti però estranei al giudizio.
Nessun addebito di mancato coordinamento (che può riguardare solo l’esecu-zione
materiale dei lavori) potrebbe invece riguardare il dr. Graziano, che cessò dal
servizio appena tre mesi dopo l’inizio dei lavori.
In tale ottica, viene anche
contestata l’omessa declaratoria di prescrizione da parte del primo Giudice:
l’eventuale mancato coordinamento non potè che cessare al momento delle sue
dimissioni, riguardando, per il periodo successivo, gli altri soggetti che
subentrarono nelle funzioni. E’ poi ribadita la carenza dell’elemento
soggettivo minimo, non dimostrato dal PM e dalla sentenza in alcun modo
= ° =
Si sono costituiti, per resistere
all’appello del PM, i sigg.ri Palombi e Di Bitetto.
Il dr. Di Bitetto sostiene la piena
correttezza della declaratoria di assoluzione nei suoi riguardi: egli
predispose gli atti necessari per gli acquisti in perfetta coerenza con le
richieste pervenute dai direttori delle Cliniche interessate, e dopo aver
acquisito il parere dell’Ufficio tecnico sui relativi capitolati, i quali non avrebbero
potuto prevedere la (successiva) inutilizzabilità dei locali destinati ad
accoglierli. Inoltre, nessuna notizia su sopravvenute difficoltà nella
realizzazione dei lavori gli pervenne mai; né sarebbe stato comunque possibile
revocare gare ormai avviate o rescindere i contratti, cosa che avrebbe comportato
contenziosi con le ditte aggiudicatarie. In ogni caso, egli si attivò e riuscì
a ritardare, nei limiti del possibile, la consegna dei macchinari dalla varie
ditte.
Anche il dr. Palombi sostiene la
correttezza della sua assoluzione, evidenziando come il PM, in effetti, non gli
abbia contestato alcuna specifica mancanza e come, d’altra parte, fu direttore
dell’ufficio tecnico solo fino all’8.7.1999, allorchè fu destinato a diverso
incarico. Per quel che riguarda i lavori della II Clinica “Stefanini”, rileva
che la sospensione dei lavori fu dovuta non a carenze iniziali nella progettazione,
ma a sopravvenute esigenze mediche, le quali furono peraltro precisate solo
nell’ottobre 1999, quando egli aveva già assunto un diverso incarico (e a
quest’ultima data ancora non si era proceduto agli acquisti dei macchinari):
dunque nulla potrebbe essergli imputato. Circa i lavori della I Clinica
“Valdoni”, la sospensione avvenne nel marzo 1999 e fu dovuta a carenze
progettuali riguardanti le apparecchiature da installare; dunque anche qui
nessun addebito specifico potrebbe essergli mosso. Né, più in generale, potrebbe
essergli ascritto un inefficace coordinamento, atteso che egli aveva compiti relativi
all’esecuzione dei lavori ma non di coordinamento, che spettavano ad altri. Da
ultimo, viene lamentata la mancanza dell’elemento soggettivo minimo che giustifichi
le imputazioni a suo carico.
= ° =
Con atto pervenuto il 4.3.2009,
l’appellante dr. Fatarella ha formulato istanza di definizione del giudizio di appello ai sensi
dell’art. 1, commi 231-233 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, mediante pagamento
del 10% della condanna subita in prime cure.
Il Procuratore generale, con proprio
parere depositato il 15.3.209, ritiene l’istanza accoglibile, ma in misura non
inferiore al 30% del danno addebitato in prime cure; chiede altresì la condanna
alle spese del presente grado di giudizio.
= ° =
All’udienza dibattimentale odierna,
ha preso per primo la parola il PM, per confermare gli scritti.
L’avv. Racco, per il dr. Di Bitetto,
si oppone alla richiesta di condanna. Evidenzia che l’acquisto fu effettuato
con la formula del leasing, per cui
era impossibile ritardare la data di consegna; più in generale, il suo
assistito si attivò sempre, nel limite delle sue attribuzioni, e anche oltre.
L’avv. Paternostro sostiene che il
dr. Colocci non decise mai nulla, senza aver prima interpellato gli organi
sanitari. Ricorda anche che intervennero due sospensioni dei lavori per la I
Clinica, nel settembre 1998 e marzo 1999, concesse dal direttore dei lavori
(oltre alle sospensioni relative alla II Clinica, gennaio 1998 e ottobre 1999);
a fronte di ciò, il dr. Colocci già a febbraio 1998 aveva deliberato l’acquisto
dei macchinari in leasing, e nulla
seppe delle sospensioni; da ultimo, nel successivo aprile 1998 fu colpito da un
grave infarto e lasciò poco dopo il servizio. In generale, non vi fu alcuna carenza
di coordinamento né erano prevedibili le successive esigenze manifestate dai
medici, e che avrebbero portato alle sospensioni dei lavori.
L’avv. Russo Valentini, per
Fatarella, ricorda che il suo assistito è stato presente fino al 1997, e poi
dal 1998 al 2001; ha redatto il piano-acquisti, ma i relativi capitolati
vennero predisposti nel periodo della sua assenza (e le stesse gare furono
effettuate durante la sua assenza). Nel 1999, una volta tornato, istituì il
Dipartimento risorse tecnologiche, proprio per unificare Provveditorato e
Ufficio tecnico, cui prepose il dr. Di Bitetto. Le macchine furono consegnate
dopo la sua cessazione, nel 2001. Chiede l’assoluzione e insiste per
l’accoglimento dell’istanza di condono.
L’avv. Masini, per il dr. Graziano,
si riporta agli scritti e insiste per l’assoluzione.
L’avv. Fabbrini, per Palombi,
ritiene poco chiare le accuse nei confronti dell’Ufficio tecnico: le sospensioni
dei lavori furono originate dall’assenza di specifiche tecniche dei macchinari
da installare, le quali emersero solo anni dopo, non certo da ragioni
strutturali; dunque, nessuna colpa ha l’Ufficio tecnico. In particolare, i
lavori della II Clinica furono consegnati a novembre 1997, sospesi nel
successivo gennaio su richiesta dei medici, le cui esigenze vennero precisate solo
a ottobre 1999; lo stesso avvenne per la Clinica Valdoni. In tale contesto, non
capisce cosa il dr. Palombi avrebbe potuto fare e non ha fatto. Chiede la
conferma dell’assoluzione.
Da ultimo, l’avv. Vitale si riporta
agli scritti e conferma quanto già rappresentato dall’avv. Paternostro.
1. In
rito, si dispone la riunione degli odierni appelli, ai sensi dell'art. 335
c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.
2. Sempre
in via pregiudiziale, deve essere stralciata la posizione del dr. Fatarella,
nei confronti del quale questo Collegio ha emesso separato decreto, con il
quale ha accolto l’istanza di definizione agevolata del giudizio di appello ai
sensi dell’art. 1, commi 231 – 233 della legge 23 dicembre 2005, n. 266.
3. In
via preliminare, deve essere respinto il profilo d’appello dedotto dal dr.
Graziano, relativo alla prescrizione dell’azione intentata dal Procuratore
regionale nel 2005.
Al riguardo, questo Collegio d’appello
concorda con quanto evidenziato dal giudice di prime cure, il quale - dopo aver
ricordato che la prescrizione decorre, in via generale, non dall'adozione del
comportamento dannoso, ma dal verificarsi del conseguente danno – ha poi
chiarito come, nella presente fattispecie, il danno, quale risultato negativo
della ristrutturazione non coordinata, è sorto non all'inizio, ma quando
l'opera di ristrutturazione si è conclusa con la chiusura dei lavori ed il suo
risultato negativo si è evidenziato; conclusione dell'opera - con l'emergere
dei danni solo allora - che si è verificata nel 2004, ossia appena un anno
prima che fosse fatta la citazione.
Tali considerazioni risultano
pienamente condivisibili, alla luce delle chiarissime norme in materia (v. art.
1, comma 2, L. n. 20/1994, da porre comunque in correlazione con la clausola
generale di cui all’art. 2935 c.c.) e vanno quindi confermate.
La contraria deduzione
dell’appellante incidentale deve, pertanto, essere respinta, siccome infondata.
4. Nel
merito, i contrapposti appelli vanno parzialmente accolti.
4.1. In proposito, si ricordano brevemente i
punti in contestazione: secondo la prospettazione accusatoria, le persone convenute nel giudizio di
primo grado avrebbero omesso di coordinarsi tra loro nella realizzazione dei
lavori relativi alla I e alla II Clinica chirurgica; da detto mancato
coordinamento e dalla superficialità nell’affrontare la ristrutturazione dei
reparti di radiologia sarebbe derivato un danno in termini di spesa inutile,
decremento di valore, disservizio e all’immagine.
Più in particolare, la realizzazione
del programma dei lavori avrebbe incontrato gravi difficoltà per la mancanza di
dati tecnici sulle attrezzature da installare nei locali; mancanza che avrebbe
reso impossibile dimensionare particolari strutturali dei locali stessi, necessari
alla funzionalità di dette apparecchiature (impianto elettrico, impianto di
condizionamento, schermature rx, ecc.); ciò avrebbe imposto varie sospensioni
dei lavori e poi - una volta conosciuti tali dati - la necessità di lavori
aggiuntivi. Quanto alle attrezzature, esse sarebbero rimaste per anni
abbandonate ancora imballate, con conseguente decremento di valore, nonché
impossibilità di fornire agli utenti un miglior servizio sanitario e una
perdita d'immagine per l'Istituto ospedaliero. Tale risultato negativo del
programma di ristrutturazione veniva addebitato dalla Procura attrice ad una
carenza di coordinamento fra le entità (amministrative ed operative) coinvolte
nel programma, cioè fra le varie direzioni (generale, amministrativa e
sanitaria), il reparto preposto a fare i lavori ed il reparto preposto agli
acquisti.
Il primo
Giudice ha condannato i
direttori Fatarella, Graziano e Colocci a € 187.500 ciascuno, ritenendo in
sostanza che ad essi competesse il coordinamento (che è mancato); sono stati
invece mandati assolti i sig.ri Di Bitetto (titolare ufficio acquisti) e
Palombi (titolare ufficio lavori).
4.2. Ciò posto, le conclusioni cui è pervenuto
il Giudice territoriale possono essere solo in parte condivise.
Invero,
ritiene questo Giudice d’appello che il necessario punto di partenza, per poter
pervenire ad una adeguata valutazione sulla sussistenza (o meno) di una
colpevole carenza di coordinamento, sia l’esame delle iniziali determinazioni
che dettero origine alla complessa procedura, oggetto dell’impugnata decisione.
Risulta
dagli atti di causa che con deliberazione n. 459 del 6.7.1996 il Direttore
generale del Policlinico dr. Fatarella - su proposta del Capo settore lavori
dr. Di Bitetto, del Direttore amministrativo dr. Colocci e del Direttore
sanitario dr. Graziano – autorizzava l’esecuzione dei lavori di bonifica dei
locali del Reparto radiologico e ambulatori al piano seminterrato della II
Clinica, previo espletamento di apposita gara, sulla base dell’apposito
capitolato speciale d’appalto, il quale a sua volta era stato elaborato
dall’Ufficio tecnico e trasmesso con nota n. 1272 del 14.6.1996.
Orbene, il
su detto capitolato, all’art. 3 (indicato come “Designazione sommaria delle opere”), dispone chiaramente che
“Le opere che formano oggetto
dell’appalto possono riassumersi come appresso, salvo più precise
indicazioni che in corso d’opera potranno essere fornite dalla direzione dei lavori:
demolizioni e rifacimento tramezzo, pavimenti e rivestimenti; costruzioni di
nuovi infissi …”. Ancora più esplicito, se possibile, è il successivo art.
6 (“Variazioni alle opere progettate”),
ai sensi del quale “Le indicazioni di
cui ai precedenti articoli e i disegni allegati al contratto debbono ritenersi
unicamente come norma di massima per rendersi ragione delle opere da costruire.
L’amministrazione si riserva infatti l’insindacabile facoltà di introdurre,
nell’esecuzione delle opere, quelle varianti che riterrà opportune,
nell’interesse della buona riuscita e dell’economia dei lavori, anche se in
contrasto con le indicazioni risultanti dai disegni e dal presente capitolato …”.
Analoghe erano le modalità operative e le prescrizioni relative all’altra
Clinica, di cui alla deliberazione n. 731 del 28.7.1997, nella quale si legge
che i lavori da realizzare consistono, tra l’altro, in “…tutto ciò che possa
rendere la struttura finita e funzionale”.
Insomma, e
a farla breve, era chiaro fin dall’inizio, a tutti i soggetti intervenuti, che
la realizzazione delle opere in questione, data anche la loro particolarità
tecnica, sarebbe passato attraverso un iter complesso e, sopra tutto, in
larga parte ancora indefinito: ed invero, al momento delle relative deliberazioni
era chiaro poco più che l’oggetto dei lavori, restando invece ancora da
specificare le effettive caratteristiche delle relative opere, le cui iniziali
descrizioni costituivano mere ipotesi di lavoro, come appunto era (o avrebbe
dovuto essere) noto a tutti i soggetti a diverso titolo coinvolti.
Emerge,
dunque, per tabulas, l’inconsistenza
e l’inaccettabilità della principale argomentazione degli interessati e, per
converso, la fondatezza, almeno in linea di principio, dell’appello principale:
in altri termini, le variazioni fin dall’inizio rivelatesi necessarie (e che
dettero luogo ad interruzioni dei lavori e lievitazione di spese) non furono dovute
(solamente) a carenze progettuali, o a eventi sopravvenuti ed imprevedibili, e
nessuno dei soggetti convenuti nel giudizio di primo grado avrebbe dovuto
ignorare l’assoluta necessità di vigilare con continuità (ciascuno per la parte
di rispettiva attribuzione) e intervenire sollecitamente per assistere la
direzione lavori nella progettazione delle varianti e adeguamenti, che in
questo caso non erano eventuali, ma certi e già dichiarati. Nessuno, in altri
termini, avrebbe potuto sottrarsi, tentando di addossare l’intera responsabilità
sugli altri: non i direttori (generale, amministrativo e sanitario), che
predisposero e firmarono gli atti amministrativi; non il capo dell’ufficio
tecnico (e direttore lavori), che predispose il capitolato e avrebbe dovuto
occuparsi dell’alta vigilanza sulla successiva esecuzione; non, infine, il
provveditore, chiamato a coordinarsi con il direttore lavori, per far sì che
fossero acquistati macchinari adeguati e in tempi compatibili con la
realizzazione di quegli specifici lavori di adattamento dei locali destinati ad
accoglierli.
Tutta
questa attività di vigilanza e coordinamento è colpevolmente e clamorosamente
venuta meno, da parte di ciascuno, quando invece era indispensabile l’apporto
di tutti per il raggiungimento del risultato, tenuto conto – si ripete - che
erano da realizzare opere delle quali non erano definite le specifiche caratteristiche,
le quali si sarebbero venute precisando man mano, in fase di effettiva
esecuzione.
4.3. Alla luce di quanto innanzi esposto, appare
maggiormente chiaro il ruolo di ciascuno degli odierni interessati.
Del dr.
Fatarella si è già detto innanzi: nei suoi confronti è stato emesso separato decreto, di definizione
agevolata del giudizio di appello ai sensi dell’art. 1, commi 231 – 233 della
legge 23 dicembre 2005, n. 266.
4.4. Nessun
dubbio potrebbe poi sussistere, secondo quanto prima chiarito, circa la piena
responsabilità del direttore amministrativo dr. Colocci, e di quello sanitario,
dr. Di Bitetto, nei confronti dei quali giustamente, ad avviso di questo
Collegio, il primo Giudice ha emesso pronunzia di condanna.
Detta
decisione va dunque in linea di massima confermata, pur con qualche
precisazione relativamente al quantum,
al fine di pervenire ad un giudizio maggiormente equo, tenuto conto
dell’apporto causale di ciascuno alla produzione dell’evento dannoso.
4.5. Per quel che riguarda allora il dr.
Colocci, si ricorda che egli fu in carica fino al 24 giugno 1998, cioè nel
periodo dell’inizio dei lavori di che trattasi.
L’interessato,
nel proprio atto di appello, evidenzia il ruolo ricoperto e le deliberazioni
cui prese parte, per concludere che “… le
esigenze di coordinamento degli uffici nella fase di deliberazione/affidamento
delle opere erano state soddisfatte; non così l’esigenza del controllo
dell’effettiva esecuzione dei lavori”.
Ebbene, è
proprio tale impostazione, burocratica e “cartolare”, che risulta a questo
Collegio inaccettabile: laddove il direttore amministrativo mai avrebbe potuto
limitarsi ad intervenire nella fase deliberativa, per poi sostanzialmente
disinteressarsi di tutto il resto, specie – occorre ribadire – considerando la
particolarità della situazione e l’assenza di progetti definiti. Egli avrebbe
dovuto invece preoccuparsi maggiormente di verificare l’andamento effettivo dei
lavori, il sorgere di eventuali problemi, le nuove esigenze che nel concreto
iniziavano ad emergere, come testimonia la prima sospensione dei lavori della
II Clinica già nel gennaio 1998 (cioè mentre l’interessato era ancora in
servizio). Tutto ciò imponeva il ruolo di raccordo che ricopriva all’epoca il
direttore amministrativo, e nulla di tutto ciò risulta essere stato fatto, come
del resto lo stesso appellante conferma.
4.6. Stesso discorso, mutatis mutandis, può essere ripetuto per il direttore sanitario,
le cui responsabilità nella fattispecie appaiono essere appena di poco minori.
Il dr. Di
Bitetto oppone, nell’occasione, il suo ruolo tecnico e non certo gestionale e
il suo pensionamento avvenuto nel marzo 1999. In particolare, evidenzia che la normativa all’epoca
vigente – art. 3 del D.Lgs. n. 502/1992, come modificato dal D.Lgs. n. 517/1993
– disponeva che tutti i poteri gestionali nelle aziende sanitarie erano del
direttore generale (comma 6), mentre il direttore sanitario (comma 7) si
limitava a dirigere i servizi sanitari e a fornire pareri al direttore generale.
Ma, anche
qui, tutto ciò non esimeva l’interessato ad occuparsi più direttamente
dell’andamento delle opere che interessavano il (futuro) lavoro delle equipes mediche da lui dirette, e a
spendere il suo potere consultivo per informare la parte tecnica – come
prevedeva il capitolato – delle specifiche esigenze, dei problemi insorti sul
piano dell’idoneità delle strutture a rendere il servizio per il quale erano state
pensate, etc..
E’ d’uopo,
pertanto, ribadire l’inaccettabilità della posizione dell’interessato, che –
come gli altri – tenta di chiamarsi fuori, ritenendo che il proprio apporto
possa limitarsi agli atti strettamente indispensabili alla gestione del
rispettivo settore: quando invece, in questo caso l’intervento effettivo e
continuo (anche) del direttore sanitario era richiesto fin dalla delibera
iniziale di autorizzazione ai lavori.
Va
pertanto affermata la corresponsabilità dei due appellanti, pur dovendosi
ridurre il quantum della relativa
condanna. In concreto – e ferma restando la determinazione del danno, come operata
dal Collegio di prime cure - questo Collegio ritiene equo determinare l’importo
di detto risarcimento nella misura, in entrambi i casi comprensiva della
rivalutazione monetaria, di € 20.000 (ventimila) a carico del dr. Colocci e di
€ 10.000 (diecimila) per il dr. Di Bitetto, tenuto conto del ruolo ricoperto,
dell’attività comunque espletata e del periodo di permanenza nella rispettiva
carica dirigenziale.
In tali
limiti gli appelli possono essere parzialmente accolti.
5. Va poi accolto, anche in tal caso
parzialmente, l’appello principale del Pubblico ministero, che contesta le
assoluzioni del dr. Palombi (capo Ufficio tecnico e direttore lavori) e del dr.
Di Bitetto (capo Ufficio acquisti).
Le
richieste dell’appellante, alla luce di quanto innanzi esposto, si appalesano
sostanzialmente fondate. E’ indubbio che i due su detti funzionari, per i ruoli
rivestiti, siano anch’essi corresponsabili della situazione di generale
lassismo operativo e di negligenza gestionale sopra descritta.
In tale
confuso contesto, vengono in particolare rilievo le colpe del direttore dei
lavori (e capo ufficio tecnico), che indubbiamente rappresentava la snodo
principale, attraverso il quale passavano tutte le diverse attribuzioni, e che
avrebbe perciò dovuto raccogliere e smistare esigenze, problemi, sopravvenienze
e richieste di tutti: ma, a tutta evidenza, così non è stato.
Anche il
Provveditore, che aveva il compito di assicurare la fornitura delle
attrezzature adeguate e in tempi coerenti con la fine delle opere murarie e strutturali,
ha la sua parte di responsabilità se ciò non avvenne; responsabilità che
tuttavia va determinata in misura sensibilmente ridotta rispetto agli altri,
anche perché, come risulta dagli atti, il dr. Graziano ha poi cercato di porre
riparo, in una qualche misura, alle iniziali carenze di coordinamento che hanno
caratterizzato (anche) il suo operato.
In definitiva, il dr. Palombi va
condannato, in parziale accoglimento delle richieste dell’appellante principale,
alla somma di € 30.000,000 (euro trentamila), comprensiva di rivalutazione
monetaria; per il dr. Di Bitetto appare invece equa la condanna alla minore somma
di € 5.000,000 (euro cinquemila), anch’essa comprensiva di rivalutazione
monetaria.
6. A tutti gli importi di condanna sopra
indicati vanno aggiunti gli interessi legali, a decorrere dalla data di
notifica della presente sentenza fino al completo soddisfo.
Le spese
del presente grado di giudizio, in favore dello Stato, seguono da ultimo la
soccombenza e sono poste, in via solidale e in parti uguali, a carico dei
condannati.
P. Q. M.
La Corte dei conti – Sezione prima giurisdizionale
centrale d’appello, previa riunione in rito, ogni contraria istanza ed eccezione
reiette:
1)
PROVVEDE, con separato decreto, a definire la posizione dell’appellante
incidentale dr. Riccardo FATARELLA, di cui al giudizio n. 30214;
2)
ACCOGLIE PARZIALMENTE l’appello principale del Procuratore regionale (n.
29972) e, per l’effetto:
-
CONDANNA il dr. Luigino PALOMBI al risarcimento, nei confronti del
Policlinico “Umberto I” di Roma, della somma di € 30.000,000 (euro
trentamila/00), comprensiva di rivalutazione monetaria, più interessi legali a
decorrere dalla data di notifica della presente sentenza fino al soddisfo;
-
CONDANNA il dr. Antonio DI BITETTO al risarcimento, nei confronti del
Policlinico “Umberto I” di Roma, della somma di € 5.000,000 (euro
cinquemila/00), comprensiva di rivalutazione monetaria, più interessi legali a
decorrere dalla data di notifica della presente sentenza fino al soddisfo;
3)
ACCOGLIE PARZIALMENTE l’appello incidentale del dr. Vittorio COLOCCI (n.
30050) e, per l’effetto, lo CONDANNA al risarcimento, nei confronti del
Policlinico “Umberto I” di Roma, della somma di € 20.000,000 (euro
ventimila/00), comprensiva di rivalutazione monetaria, più interessi legali a
decorrere dalla data di notifica della presente sentenza fino al soddisfo;
4)
ACCOGLIE PARZIALMENTE l’appello incidentale del dr. Giuseppe GRAZIANO (n.
30362) e, per l’effetto, lo CONDANNA al risarcimento, nei confronti del
Policlinico “Umberto I” di Roma, della somma di € 10.000,000 (euro
diecimila/00), comprensiva di rivalutazione monetaria, più interessi legali a
decorrere dalla data di notifica della presente sentenza fino al soddisfo;
5)
CONDANNA, da ultimo, i sigg.ri PALOMBI, DI BITETTO, COLOCCI e GRAZIANO,
in solido ed in parti uguali, alla rifusione delle spese del presente grado di
giudizio in favore dello Stato; spese che, all'atto della presente decisione,
sono liquidate in € 1091,08 (€ millenovantuno/8
___________________________________________________).
Così deciso in Roma, nella
camera di consiglio del giorno 24 marzo 2009.
L'ESTENSORE
f.toPiergiorgio
Della Ventura
IL
PRESIDENTE
f.toVito
Minerva
Depositata
in Segreteria
il
.…..21/07/2009..............................
Il
Dirigente
f.to Maria Fioramonti