Sentenza n.491/2009 A

REPUBBLICA ITALIANA

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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE

composta dai seguenti magistrati:

Dott. Vito                   MINERVA                             Presidente

Dott. Rocco               DI PASSIO                            Consigliere

Dott.ssa Cristina      ZUCCHERETTI                    Consigliere

Dott.ssa Maria          FRATOCCHI                        Consigliere

Dott. Piergiorgio       DELLA VENTURA              Consigliere relatore

ha pronunziato la seguente

S E N T E N Z A

nei giudizi di appello, riuniti ai sensi dell’art. 335 del c.p.c.., iscritti ai nn. 29972, 30050, 30214 e 30362 del registro di Segreteria, proposti rispettivamente:

1)     dal Procuratore regionale della Corte dei conti per la regione Lazio (appello principale, iscritto al n. 29972);

2)     dal dr. Vittorio COLOCCI, rappresentato e difeso dagli avv.ti Giovan Vincenzo Placco, Domenico Paternostro e Elio Vitale, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, viale Mazzini, n. 6 (appello incidentale, n. 30050);

3)     dal dr. Riccardo FATARELLA, rappresentato e difeso dall’avv. Anna Maria Miranda ed elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultima in Roma, corso Vittorio Emanuele, n. 284 (appello incidentale, n. 30214);

4)     dal dr. Giuseppe GRAZIANO, rappresentato e difeso dagli avv.ti Leopoldo de’ Medici e Filippo Lubrano, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Flaminia, n. 79 (appello incidentale, n. 30362),

TUTTI AVVERSO

la sentenza n. 635/07 depositata in data 2.5.2007, emessa dalla  Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Lazio.

VISTI gli atti e documenti di causa;

UDITI, nella pubblica udienza del giorno 24 marzo 2009, il consigliere relatore dr. Piergiorgio Della Ventura, il Vice Procuratore generale dr. Alfredo Lener, nonché gli avv.ti:

§         Domenico Paternostro e Elio Vitale per il dr. Colocci;

§         Maria Rosaria Russo Valentini per il dr. Fatarella;

§         Manlio Racco per il dr. Di Bitetto;

§         Fabio Fabbrini per il dr. Palombi;

§         Maria Stefania Masini, per il dr. Graziano.

F A T T O

La Procura regionale della Corte dei conti presso la Sezione giurisdizionale per la regione Lazio, con atto del 4.8.2005 citava in giudizio alcuni dirigenti e dipendenti dell'Azienda Sanitaria POLICLINICO UMBERTO I di Roma, in relazione al presunto danno erariale ammontante a:

-          € 183.129,00 il dr. FATARELLA (direttore generale);

-          € 402.411,00 il dr. GRAZIANO (direttore sanitario);

-          € 603.618,00 il dr. COLOCCI (direttore amministrativo);

-          € 183.129,00 il dr. DI BITETTO (titolare ufficio acquisti);

-          € 603.618,00 il dr. PALOMBI (titolare ufficio lavori).

Dette somme avrebbero rappresentato la quota parte a ciascuno di essi ritenuta addebitabile (rispettivamente 10%, 20%, 30%, 10%, 30%) di un complessivo danno di euro 2.012.056,00, formato dalle seguenti voci di specifici danni:

1) decremento di valore di attrezzature radiologiche acquistate (per 1°e 2° Clinica Chirurgica) ma mai utilizzate = € 331.296,00;

2) spesa per lavori inutili (quanto alla ristrutturazione dei locali della 1° Clinica Chirurgica) perché mai terminati = € 180.760,00;

3) danno da disservizio: impedimento ad una p.a. a rendere i servizi per i quali è stata istituita = € 1.000.000,00;

4) danno all'immagine, ossia sfiducia dell'utenza nella sanità pubblica a seguito del clamore insorto sul disservizio del Policlinico (e quindi minori guadagni per il dirottarsi dell'utenza stessa verso la sanità privata e maggiori spese per il ripristino dell'immagine danneggiata) = € 500.000,00.

Tali danni si sarebbero verificati nell'ambito di un programma di ristrutturazione edilizia dei Reparti di Radiologia della 1° e 2° Clinica Chirurgica, collegato ad un contestuale procedimento di acquisto delle relative attrezzature radiologiche.

La tesi accusatoria muoveva dall’assunto secondo cui le persone sopraindicate avrebbero male esercitato i propri compiti, ciascuno per quanto di competenza e avrebbero omesso di coordinarsi tra loro, al fine di addivenire ad un risultato proficuo per l’ente. Dal mancato coordinamento e dalla superficialità nell’affrontare la ristrutturazione dei reparti di radiologia sarebbe derivato un danno per l’erario in termini di spesa inutile, decremento di valore, disservizio e all’immagine.

Più in particolare, la realizzazione del programma si sarebbe svolta fra il 1996 ed il 2004 e - mentre quanto agli acquisti non avrebbe avuto problemi, venendo le attrezzature radiologiche consegnate regolarmente - quanto ai lavori avrebbe incontrato invece gravi difficoltà per la mancanza di dati tecnici sulle attrezzature di cui avrebbero dovuto essere dotati i locali; mancanza che avrebbe reso impossibile dimensionare particolari strutturali dei locali stessi (impianto elettrico, impianto di condizionamento, schermature rx, ecc.) necessari alla funzionalità delle apparecchiature da installarvi; il che avrebbe imposto varie sospensioni dei lavori e poi - una volta conosciuti tali dati - la necessità di lavori aggiuntivi per uno specifico (e in precedenza non previsto) adeguamento dei locali.

Per tali motivi, il programma di ristrutturazione, relativamente ai lavori della 1° Clinica chirurgica non avrebbe proprio raggiunto il fine previsto, perché i lavori - iniziati nel 1997 - sarebbero stati sospesi due volte (nel 1998 e nel 1999) senza essere mai più ripresi, per mancata autorizzazione delle necessarie opere aggiuntive, cosicché i lavori iniziati furono alla fine abbandonati (1.3.1999) ed i locali caduti in grave degrado ambientale e sanitario.

Il programma per la 2° Clinica chirurgica avrebbe invece raggiunto i fini previsti, ma con molto ritardo. Ciò perché i lavori - iniziati nel 1996 - dopo essere stati più volte anch’essi sospesi, furono seguiti - su interessamento peraltro della Procura attrice - da necessari lavori aggiuntivi (1.10.2000 e 11.2.2004), cosicché il Reparto di radiologia -  consegnata l'opera finita solo l'1.3.2004 - sarebbe entrato finalmente in funzione.

Quanto agli acquisti, il programma sarebbe stato pregiudicato dal fatto che l'acquisto delle attrezzature - avviato nel 1997 poco dopo i lavori edilizi e, di per sé, ineccepibile - avrebbe subito le conseguenze delle difficoltà insorte sul fronte dei lavori. In particolare, in conseguenza delle varie sospensioni dei lavori e poi - quanto alla 1° Clinica - dell'abbandono dei lavori stessi, non fu possibile utilizzare le attrezzature specialistiche, pur regolarmente consegnate e collaudate (salvo alcune di esse, destinate ad altri Reparti) a causa dell'indisponibilità dei locali dove avrebbero dovuto essere allocate: locali che - per le sospensioni, le inadeguatezze tecniche, la mancata conclusione o la tardiva conclusione dei lavori - non sono risultati idonei a riceverle ed a farle funzionare. Di conseguenza, dette attrezzature sono rimaste per anni abbandonate in scantinati ancora imballate; il che avrebbe determinato un loro decremento di valore, nonché l'impossibilità di fornire agli utenti un miglior servizio sanitario ed infine - essendo insorto sulla stampa un grande clamore al riguardo - una perdita d'immagine per l'Istituto ospedaliero.

Siffatto complessivo risultato negativo del programma di ristrutturazione veniva addebitato dalla Procura ad una carenza di coordinamento fra le varie entità (amministrative ed operative) del Policlinico coinvolte nel programma, cioè fra le varie direzioni (generale, amministrativa e sanitaria), il reparto preposto a fare i lavori ed il reparto preposto agli acquisti.

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Con la sentenza indicata in epigrafe, la Sezione giurisdizionale per il Lazio ha condannato i sigg.ri Fatarella, Graziano e Colocci a € 187.500 ciascuno e ha mandato assolti i sig.ri Di Bitetto e Palombi.

La Sezione ha effettuato una articolata disamina della natura del concetto di “mancato coordinamento”, di cui all’atto di citazione del PM, che individuava la condotta dannosa addebitata ai convenuti appunto nella carenza della dovuta azione di coordinamento.

In particolare, a giudizio del Collegio di prime cure, “la commissione - integrativa dell’omissione – sarebbe consistita nell’adozio-ne delle delibere” (…) e ciò col chiaro sottinteso che sarebbero state appunto siffatte delibere a dover coordinare e sarebbero perciò le stesse a non averlo fatto”. La condotta omissiva, quindi, si sarebbe risolta nell’adozione di delibere che avrebbero rappresentato gli atti con i quali sarebbe stata commessa la omissione contestata. Tale impostazione, sempre secondo la Sezione, troverebbe conferma nel fatto che la Procura ha individuato e graduato le responsabilità dei singoli in base alla loro partecipazione o meno a dette delibere (o alla loro permanenza in carica alla data delle delibere).

L’omesso coordinamento, a giudizio della Sezione giudicante, non rappresenta invece una condotta omissiva mediante commissione bensì in una “omissione pura e semplice” consistita, nella fattispecie, nella violazione degli obblighi immanenti alla funzione dirigenziale di essi convenuti, che imponeva loro di adottare un comportamento positivo volto a garantire il pieno e tempestivo conseguimento del risultato del programma di ristrutturazione e che era costituito appunto dal coordinamento delle forze operative impegnate a realizzarlo.

Partendo da tale impostazione, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente nella fattispecie una responsabilità per omesso coordinamento da parte del Direttore generale, del Direttore amministrativo e del Direttore sanitario del Policlinico e quindi a condannarli, in quanto è esclusivamente su di loro che sarebbe gravato il dovere di coordinamento non adempiuto; sono stati viceversa mandati assolti il dirigente dell’ufficio tecnico e il dirigente del provveditorato, in quanto ritenuti meri esecutori, ai quali non incombeva nessun onere specifico di coordinamento o di raccordo con altre figure.

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Avverso la sentenza ha interposto appello il Procuratore regionale.

Ad avviso dell’appellante, la ricostruzione dell’impostazione accusatoria, effettuata con la pronuncia in questione, sarebbe errata: l’omissione contestata con l’atto di citazione sarebbe cioè un semplice non facere e non già una condotta omissiva mediante commissione; omissione pura e semplice di un obbligo di fare derivante dalla posizione dirigenziale rivestita dai convenuti.

La Procura afferma di non avere mai ritenuto di individuare la contestata omissione di coordinamento nell’adozione di atti amministrativi; la stessa serie di delibere elencate nella citazione avrebbe avuto il solo scopo di ricostruire con esattezza la vicenda, non già di inquadrare il comportamento dei convenuti come omissione mediante commissione.

A questi sarebbe allora stata contestata una semplice omissione: il non essersi ciascuno di loro attivati adeguatamente per raggiungere il risultato della ristrutturazione delle radiologie della I e II clinica chirurgica e aver lasciato materiale radiologico inutilizzato. Tale omissione si sarebbe concretizzata in un mancato coordinamento dell’azione di ciascuno, in relazione a quella degli altri; ai convenuti non si imputava di non aver adottato atti dal contenuto diverso da quelli richiamati, bensì non aver adottato comportamenti (e non solo atti) idonei al raggiungimento di una soluzione diversa da quella che poi si è avuta. Le delibere, dunque, non costituirebbero lo strumento dell’omissione, ma solo gli elementi per una ricostruzione temporale e procedimentale degli eventi e per una valutazione del livello di consapevolezza di ogni convenuto.

Evidenzia poi il PM appellante che, alla luce della riforma del pubblico impiego operata con il decreto legislativo n. 29/1993 (che ha separato funzioni di indirizzo politico da funzioni gestorie), il ruolo della dirigenza è oggi ben diverso da quello del passato: al dirigente sono demandati, innanzitutto, compiti di carattere organizzativo e gestionale, di coordinamento e di controllo.

Nel campo sanitario, precisa parte appellante, il decreto legislativo n. 502/1992 (figlio della medesima fonte di delega del decreto legislativo n. 29/1993, cioè la legge n. 421/1992) nel trasformare le vecchie UUSSLL in Aziende sanitarie, ha attribuito quelle che erano le competenze proprie del vecchio Comitato di gestione ad un Direttore generale, organo monocratico che assomma in sé tutte le funzioni che sono proprie degli organi collegiali di altri enti pubblici. Egli allora – prosegue sempre l’appellante - non sarebbe assimilabile agli organi gestionali, quanto piuttosto agli organi di indirizzo politico; la sua stessa nomina è politica (è di competenza della Giunta regionale) benché il legislatore abbia preteso che, in considerazione della specificità del settore sanitario, colui che viene chiamato a ricoprire un tale ruolo abbia comunque competenze tecniche specifiche, in grado di assicurare una gestione professionale dell’azienda sanitaria.

Se al Direttore generale è pertanto attribuito il ruolo di vertice politico–gestionale dell’ente (in ciò assimilabile, secondo il PM, al ruolo delle Giunte degli enti territoriali o del CdA delle Società), il Direttore sanitario e quello amministrativo sono chiamati ad adiuvarlo per tutti i profili di carattere sanitario l’uno e amministrativo l’altro, con particolare riferimento proprio al coordinamento della dirigenza di più basso livello.

Accanto agli organi di vertice (Direttore generale, sanitario ed amministrativo) si pongono poi gli altri dirigenti dell’ente i quali, in relazione alla loro qualifica, hanno la responsabilità per gli atti con rilevanza esterna propri del settore cui vengono preposti, ma soprattutto l’obbligo di coordinamento dell’azione del proprio ufficio in relazione a quella degli altri.

In altri termini, secondo parte attrice, se al Direttore generale di una ASL spetta il ruolo di coordinamento delle varie strutture dell’ente sotto il profilo più strettamente politico con indicazione dei compiti di ciascuna struttura e con attribuzione dei relativi budget, in ciò adiuvato rispettivamente dal Direttore amministrativo e da quello sanitario, spetta però ai soggetti preposti alle singole strutture trasformare tali indicazioni in atti e fatti, mediante un’azione di coordinamento degli uni con gli altri.

Non sarebbe allora possibile ritenere, come farebbe la sentenza appellata, che il dirigente abbia un ruolo di mero esecutore: la dirigenza vede al proprio interno differenti livelli ed anche quello posto al gradino più basso non può mai essere considerato come mero esecutore. In una realtà quale quella del Policlinico Umberto I, struttura sanitaria tra le più grandi d’Europa, ritenere il Provveditore o il Dirigente dell’Ufficio tecnico meri esecutori di decisioni altrui sarebbe riduttivo del loro ruolo ed in contrasto  con la valenza attribuita alla dirigenza pubblica dalle recenti riforme.

Nella fattispecie, ritiene parte appellante che i danni erariali siano stati la conseguenza di un gravissimo mancato coordinamento tra le strutture dell’ente preposte alla realizzazione dei lavori, quelle preposte all’acquisizione delle attrezzature radiologiche, la direzione generale, quella amministrativa e quella sanitaria.

Infatti, i lavori di ristrutturazione sarebbero stati decisi ed appaltati senza prima conoscere le specifiche tecniche delle attrezzature radiologiche che si sarebbero dovute installare nei locali oggetto dei lavori; la conseguenza è stata che questi sono stati oggetto di ripetute sospensioni proprio perché – secondo l’appellante - era sconosciuta la tipologia delle opere da effettuare in relazione alle apparecchiature da installare.

La programmazione e la progettazione iniziale dei lavori sono stati effettuati secondo il PM con superficialità ed approssimazione, senza acquisire quelle notizie ed informazioni necessarie in relazione all’uso che si sarebbe dovuto fare delle strutture.

È mancato cioè, per la Procura, un qualsivoglia coordinamento tra l’ufficio tecnico e la direzione sanitaria, necessario a definire, in sede di progettazione, le direttive tecniche delle opere da realizzare in relazione alle esigenza mediche e alle specifiche tecniche del materiale da installare; tale coordinamento è mancato anche con l’ufficio acquisti onde evitare, come invece è avvenuto, che risultassero improvvidi l’acquisto e la consegna del materiale radiologico; la conseguenza è stata che i beni sono stati consegnati allorquando i lavori di ristrutturazione non erano ancora terminati e che parte di tale materiale è rimasto inutilizzato e conservato per anni imballato.

La su detta mancanza di dialogo e di coordinamento tra le varie strutture e la leggerezza con la quale è stata affrontata tutta la questione, sono per il PM alla base dei danni erariali per i quali egli aveva agito in giudizio.

Pertanto, il Procuratore non condivide l’impostazione del Giudice di prime cure, secondo cui sarebbe spettato unicamente a chi ha “deciso” i lavori preoccuparsi delle specifiche tecniche delle apparecchiature da installarvi: questo non può essere compito della Dirigenza politica di un ente quanto piuttosto della dirigenza tecnica, rappresentata appunto dal dirigente dell’ufficio tecnico e dal Provveditore. In tale ottica, prosegue parte appellante, il dirigente dell’ufficio tecnico (dr. Palombi) avrebbe dovuto, prima di cimentarsi in una progettazione, interrogarsi circa la tipologia di macchinari da installare in immobili che erano destinati a un reparto di radiologia; analogamente il direttore dell’ufficio acquisti (dr. Di Bitetto) non si sarebbe mai posto il problema, nel predisporre il capitolato ed il contratto per l’acquisto delle apparecchiature, della inutilizzabilità dei locali e avrebbe consentito che parte del materiale venisse consegnato e lasciato totalmente inutilizzato.

Alla responsabilità dei primi si deve aggiungere, per il PM, anche quella del dirigenti di vertice. Ed infatti Il direttore sanitario non sarebbe mai intervenuto durante la fase di progettazione, al fine di offrire le indicazioni di propria competenza necessarie ad assicurare lavori idonei alle esigenze degli utenti e degli stessi sanitari che vi avrebbero dovuto operare.

Il direttore generale e quello amministrativo non avrebbero svolto alcun ruolo di coordinamento tra la struttura preposta alla progettazione e l’ufficio competente per l’indizione delle gare.

Questi ultimi a loro volta avrebbero proceduto in via autonoma, senza minimamente porsi il problema di un coordinamento tra l’azione di ciascuno e quella degli uffici concorrenti al raggiungimento del comune obiettivo di dotare l’ente di strutture più moderne e funzionali.

Non è allora condivisa la sentenza che ha assolto da ogni responsabilità i dirigenti di livello inferiore e viceversa ha condannato, peraltro in parti uguali, solo quelli di vertice e senza tener conto del differente coinvolgimento, anche temporale, di ciascuno.

L’appellante chiede quindi la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui assolve i convenuti Di Bitetto e Palombi e, di conseguenza, anche la riforma della parte relativa alla ripartizione degli addebiti tra tutti i convenuti; ripartizione che, osserva il Procuratore, seguendo l’impostazione accolta nella sentenza ha condotto ad una condanna del Dr. Fatarella superiore alla stessa iniziale richiesta dell’atto di coitazione.

In conclusione, parte attrice chiede che questo Giudice, in riforma dell’impugnata sentenza n. 625 del 2 maggio 2007 della Sezione giurisdizionale Lazio, voglia condannare i sigg.ri FATARELLA, GRAZIANO, COLOCCI, DI BITETTO e PALOMBI, in favore dell’Azienda Policlinico Umberto I di Roma e ciascuno in relazione ai fatti rispettivamente e complessivamente addebitati nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, al pagamento delle seguenti somme:

- PALOMBI:               € 603.618,

- COLOCCI:              € 603.618,

- GRAZIANO:            € 402.411,

- FATARELLA:         € 183.129,

- DI BITETTO:           € 183.129,

oltre rivalutazione, interessi legali dalla sentenza al soddisfo e spese di giudizio, o a quelle differenti che saranno ritenute di giustizia.

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I condannati sigg.ri Fatarella, Colocci e Graziano hanno proposto appello incidentale.

La difesa del dr. Fatarella contesta la decisione di prime cure; ricorda che egli fu in servizio fino al 1997, e poi dal 1998 al 2001; i capitolati relativi alle opere in questione vennero predisposti nel periodo della sua assenza, coma anche le gare. Nel 1999, tornato alla direzione dell’ospedale, istituì il Dipartimento risorse tecnologiche, proprio per unificare Provveditorato e Ufficio tecnico, ai fini di un poiù efficace coordinamento per i lavori da eseguire. Le macchine furono consegnate dopo la sua cessazione, nel 2001: non potrebbe dunque sussistere alcuna responsabilità. Chiede la completa assoluzione.

Il dr. Colocci, con gli avv.ti Paternostro, Placco e Vitale, sostiene di essersi sempre coordinato con la direzione dell’Ufficio tecnico dell’Azienda e non decise mai nulla senza aver prima interpellato gli organi sanitari, al contrario di quanto sostenuto dal primo Giudice. Ricorda anche le due sospensioni dei lavori, nel settembre 1998 e marzo 1999 per la I Clinica, oltre a quelle sospensioni nel gennaio 1998 e ottobre 1999 per la II Clinica, in tutti i casi concesse dal direttore dei lavori e delle quali egli non fu informato. Successivamente, ad aprile 1998 fu colpito da un grave infarto e lasciò poco dopo il servizio. In generale, non vi fu alcuna carenza di coordinamento né erano prevedibili le successive esigenze manifestate dai medici (che avrebbero portato alle sospensioni dei lavori); semmai, le carenze vi furono in fase di controllo sull’effettivo andamento dei lavori. Chiede l’assoluzione.

Gli avv.ti de’Medici e Lubrano, per il dr. Graziano, ugualmente chiedono l’assoluzione. Lamenta parte appellante che la sentenza abbia svolto un ragionamento esclusiva mentre astratto, senza in alcun modo dimostrare la colpevolezza del direttore sanitario, il quale fu in servizio solo nel periodo dell’adozione delle deliberazioni, ma non durante l’esecuzione dei lavori, cioè quando – secondo la prospettazione del PM regionale nell’atto di citazione – si realizzarono i comportamenti illeciti, fonte di danno. Il dr. Graziano nulla omise di quanto era in suo potere per coordinarsi con gli altri, né comunque i primo Giudice ha dimostrato tali mancanze. Evidenzia poi la prescrizione dell’azione, in relazione al fatto che il dr. Graziano cessò dal servizio a marzo 1998, e gli stessi danni si verificarono a marzo 1999 (I Clinica) e luglio 2000 (II Clinica), cioè alla data di abbandono definitivo dei lavori: la citazione dell’agosto 2005 sarebbe quindi tardiva. E’ comunque assente ogni possibile responsabilità del dr. Graziano, che non aveva alcuna attribuzione in merito all’esecuzione dei lavori (ma solo in fase di approvazione e aggiudicazione). Per quel che rigurada la determinazione del danno, contesta l’appellante sia il danno da decremento di valore delle attrezzature (non giustificato), sia quello da disservizio (puramente ipotetico e non comprovato in alcun modo), sia infine quello al’immagine (insussistente, e non certo desumibile da un articolo di stampa). In ogni caso, ritiene del tutto esagerata la quota di danno – 30% - attribuita al direttore sanitario.

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Con memoria integrativa depositata il 2.3.2009, il dr. Graziano ha ribadito e ulteriormente illustrato le proprie argomentazioni.

L’appellante incidentale, dopo aver ribadito di aver rassegnato le proprie dimissioni dall’incarico di direttore sanitario in data 3.3.1999, ha evidenziato che la normativa a quell’epoca vigente – art. 3 del D.Lgs. n. 502/1992, come modificato dal D.Lgs. n. 517/1993 – disponeva che tutti i poteri gestionali nelle aziende sanitarie erano del direttore generale (comma 6), mentre il direttore sanitario (comma 7) si limitava a dirigere i servizi sanitari e a fornire pareri al direttore generale. E’ solo dopo le modifiche recate dalla legge n. 229/1999, norma intervenuta dopo la sua cessazione dal servizio, che viene stabilito che i direttori amministrativo e sanitario coadiuvano il direttore generale, partecipando alla direzione dell’azienda.

Da ciò si dovrebbe ricavare che nessuna incombenza riguardava l’appellante in ordine alla programmazione e progettazione iniziale dei lavori. Tali addebiti sarebbero stati da muovere, semmai, nei confronti di altri soggetti, rimasti però estranei al giudizio. Nessun addebito di mancato coordinamento (che può riguardare solo l’esecu-zione materiale dei lavori) potrebbe invece riguardare il dr. Graziano, che cessò dal servizio appena tre mesi dopo l’inizio dei lavori.

In tale ottica, viene anche contestata l’omessa declaratoria di prescrizione da parte del primo Giudice: l’eventuale mancato coordinamento non potè che cessare al momento delle sue dimissioni, riguardando, per il periodo successivo, gli altri soggetti che subentrarono nelle funzioni. E’ poi ribadita la carenza dell’elemento soggettivo minimo, non dimostrato dal PM e dalla sentenza in alcun modo

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Si sono costituiti, per resistere all’appello del PM, i sigg.ri Palombi e Di Bitetto.

Il dr. Di Bitetto sostiene la piena correttezza della declaratoria di assoluzione nei suoi riguardi: egli predispose gli atti necessari per gli acquisti in perfetta coerenza con le richieste pervenute dai direttori delle Cliniche interessate, e dopo aver acquisito il parere dell’Ufficio tecnico sui relativi capitolati, i quali non avrebbero potuto prevedere la (successiva) inutilizzabilità dei locali destinati ad accoglierli. Inoltre, nessuna notizia su sopravvenute difficoltà nella realizzazione dei lavori gli pervenne mai; né sarebbe stato comunque possibile revocare gare ormai avviate o rescindere i contratti, cosa che avrebbe comportato contenziosi con le ditte aggiudicatarie. In ogni caso, egli si attivò e riuscì a ritardare, nei limiti del possibile, la consegna dei macchinari dalla varie ditte.

Anche il dr. Palombi sostiene la correttezza della sua assoluzione, evidenziando come il PM, in effetti, non gli abbia contestato alcuna specifica mancanza e come, d’altra parte, fu direttore dell’ufficio tecnico solo fino all’8.7.1999, allorchè fu destinato a diverso incarico. Per quel che riguarda i lavori della II Clinica “Stefanini”, rileva che la sospensione dei lavori fu dovuta non a carenze iniziali nella progettazione, ma a sopravvenute esigenze mediche, le quali furono peraltro precisate solo nell’ottobre 1999, quando egli aveva già assunto un diverso incarico (e a quest’ultima data ancora non si era proceduto agli acquisti dei macchinari): dunque nulla potrebbe essergli imputato. Circa i lavori della I Clinica “Valdoni”, la sospensione avvenne nel marzo 1999 e fu dovuta a carenze progettuali riguardanti le apparecchiature da installare; dunque anche qui nessun addebito specifico potrebbe essergli mosso. Né, più in generale, potrebbe essergli ascritto un inefficace coordinamento, atteso che egli aveva compiti relativi all’esecuzione dei lavori ma non di coordinamento, che spettavano ad altri. Da ultimo, viene lamentata la mancanza dell’elemento soggettivo minimo che giustifichi le imputazioni a suo carico.

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Con atto pervenuto il 4.3.2009, l’appellante dr. Fatarella ha formulato istanza di definizione del giudizio di appello ai sensi dell’art. 1, commi 231-233 della legge 23 dicembre 2005, n. 266, mediante pagamento del 10% della condanna subita in prime cure.

Il Procuratore generale, con proprio parere depositato il 15.3.209, ritiene l’istanza accoglibile, ma in misura non inferiore al 30% del danno addebitato in prime cure; chiede altresì la condanna alle spese del presente grado di giudizio.

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All’udienza dibattimentale odierna, ha preso per primo la parola il PM, per confermare gli scritti.

L’avv. Racco, per il dr. Di Bitetto, si oppone alla richiesta di condanna. Evidenzia che l’acquisto fu effettuato con la formula del leasing, per cui era impossibile ritardare la data di consegna; più in generale, il suo assistito si attivò sempre, nel limite delle sue attribuzioni, e anche oltre.

L’avv. Paternostro sostiene che il dr. Colocci non decise mai nulla, senza aver prima interpellato gli organi sanitari. Ricorda anche che intervennero due sospensioni dei lavori per la I Clinica, nel settembre 1998 e marzo 1999, concesse dal direttore dei lavori (oltre alle sospensioni relative alla II Clinica, gennaio 1998 e ottobre 1999); a fronte di ciò, il dr. Colocci già a febbraio 1998 aveva deliberato l’acquisto dei macchinari in leasing, e nulla seppe delle sospensioni; da ultimo, nel successivo aprile 1998 fu colpito da un grave infarto e lasciò poco dopo il servizio. In generale, non vi fu alcuna carenza di coordinamento né erano prevedibili le successive esigenze manifestate dai medici, e che avrebbero portato alle sospensioni dei lavori.

L’avv. Russo Valentini, per Fatarella, ricorda che il suo assistito è stato presente fino al 1997, e poi dal 1998 al 2001; ha redatto il piano-acquisti, ma i relativi capitolati vennero predisposti nel periodo della sua assenza (e le stesse gare furono effettuate durante la sua assenza). Nel 1999, una volta tornato, istituì il Dipartimento risorse tecnologiche, proprio per unificare Provveditorato e Ufficio tecnico, cui prepose il dr. Di Bitetto. Le macchine furono consegnate dopo la sua cessazione, nel 2001. Chiede l’assoluzione e insiste per l’accoglimento dell’istanza di condono.

L’avv. Masini, per il dr. Graziano, si riporta agli scritti e insiste per l’assoluzione.

L’avv. Fabbrini, per Palombi, ritiene poco chiare le accuse nei confronti dell’Ufficio tecnico: le sospensioni dei lavori furono originate dall’assenza di specifiche tecniche dei macchinari da installare, le quali emersero solo anni dopo, non certo da ragioni strutturali; dunque, nessuna colpa ha l’Ufficio tecnico. In particolare, i lavori della II Clinica furono consegnati a novembre 1997, sospesi nel successivo gennaio su richiesta dei medici, le cui esigenze vennero precisate solo a ottobre 1999; lo stesso avvenne per la Clinica Valdoni. In tale contesto, non capisce cosa il dr. Palombi avrebbe potuto fare e non ha fatto. Chiede la conferma dell’assoluzione.

Da ultimo, l’avv. Vitale si riporta agli scritti e conferma quanto già rappresentato dall’avv. Paternostro.

D I R I T T O

1.         In rito, si dispone la riunione degli odierni appelli, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., in quanto proposti avverso la medesima sentenza.

2.         Sempre in via pregiudiziale, deve essere stralciata la posizione del dr. Fatarella, nei confronti del quale questo Collegio ha emesso separato decreto, con il quale ha accolto l’istanza di definizione agevolata del giudizio di appello ai sensi dell’art. 1, commi 231 – 233 della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

3.         In via preliminare, deve essere respinto il profilo d’appello dedotto dal dr. Graziano, relativo alla prescrizione dell’azione intentata dal Procuratore regionale nel 2005.

Al riguardo, questo Collegio d’appello concorda con quanto evidenziato dal giudice di prime cure, il quale - dopo aver ricordato che la prescrizione decorre, in via generale, non dall'adozione del comportamento dannoso, ma dal verificarsi del conseguente danno – ha poi chiarito come, nella presente fattispecie, il danno, quale risultato negativo della ristrutturazione non coordinata, è sorto non all'inizio, ma quando l'opera di ristrutturazione si è conclusa con la chiusura dei lavori ed il suo risultato negativo si è evidenziato; conclusione dell'opera - con l'emergere dei danni solo allora - che si è verificata nel 2004, ossia appena un anno prima che fosse fatta la citazione.

Tali considerazioni risultano pienamente condivisibili, alla luce delle chiarissime norme in materia (v. art. 1, comma 2, L. n. 20/1994, da porre comunque in correlazione con la clausola generale di cui all’art. 2935 c.c.) e vanno quindi confermate.

La contraria deduzione dell’appellante incidentale deve, pertanto, essere respinta, siccome infondata.

4.         Nel merito, i contrapposti appelli vanno parzialmente accolti.

4.1.     In proposito, si ricordano brevemente i punti in contestazione: secondo la prospettazione accusatoria, le persone convenute nel giudizio di primo grado avrebbero omesso di coordinarsi tra loro nella realizzazione dei lavori relativi alla I e alla II Clinica chirurgica; da detto mancato coordinamento e dalla superficialità nell’affrontare la ristrutturazione dei reparti di radiologia sarebbe derivato un danno in termini di spesa inutile, decremento di valore, disservizio e all’immagine.

Più in particolare, la realizzazione del programma dei lavori avrebbe incontrato gravi difficoltà per la mancanza di dati tecnici sulle attrezzature da installare nei locali; mancanza che avrebbe reso impossibile dimensionare particolari strutturali dei locali stessi, necessari alla funzionalità di dette apparecchiature (impianto elettrico, impianto di condizionamento, schermature rx, ecc.); ciò avrebbe imposto varie sospensioni dei lavori e poi - una volta conosciuti tali dati - la necessità di lavori aggiuntivi. Quanto alle attrezzature, esse sarebbero rimaste per anni abbandonate ancora imballate, con conseguente decremento di valore, nonché impossibilità di fornire agli utenti un miglior servizio sanitario e una perdita d'immagine per l'Istituto ospedaliero. Tale risultato negativo del programma di ristrutturazione veniva addebitato dalla Procura attrice ad una carenza di coordinamento fra le entità (amministrative ed operative) coinvolte nel programma, cioè fra le varie direzioni (generale, amministrativa e sanitaria), il reparto preposto a fare i lavori ed il reparto preposto agli acquisti.

Il primo Giudice ha condannato i direttori Fatarella, Graziano e Colocci a € 187.500 ciascuno, ritenendo in sostanza che ad essi competesse il coordinamento (che è mancato); sono stati invece mandati assolti i sig.ri Di Bitetto (titolare ufficio acquisti) e Palombi (titolare ufficio lavori).

4.2.     Ciò posto, le conclusioni cui è pervenuto il Giudice territoriale possono essere solo in parte condivise.

Invero, ritiene questo Giudice d’appello che il necessario punto di partenza, per poter pervenire ad una adeguata valutazione sulla sussistenza (o meno) di una colpevole carenza di coordinamento, sia l’esame delle iniziali determinazioni che dettero origine alla complessa procedura, oggetto dell’impugnata decisione.

Risulta dagli atti di causa che con deliberazione n. 459 del 6.7.1996 il Direttore generale del Policlinico dr. Fatarella - su proposta del Capo settore lavori dr. Di Bitetto, del Direttore amministrativo dr. Colocci e del Direttore sanitario dr. Graziano – autorizzava l’esecuzione dei lavori di bonifica dei locali del Reparto radiologico e ambulatori al piano seminterrato della II Clinica, previo espletamento di apposita gara, sulla base dell’apposito capitolato speciale d’appalto, il quale a sua volta era stato elaborato dall’Ufficio tecnico e trasmesso con nota n. 1272 del 14.6.1996.

Orbene, il su detto capitolato, all’art. 3 (indicato come “Designazione sommaria delle opere”), dispone chiaramente che “Le opere che formano oggetto dell’appalto possono riassumersi come appresso, salvo più precise indicazioni che in corso d’opera potranno essere fornite dalla direzione dei lavori: demolizioni e rifacimento tramezzo, pavimenti e rivestimenti; costruzioni di nuovi infissi …”. Ancora più esplicito, se possibile, è il successivo art. 6 (“Variazioni alle opere progettate”), ai sensi del quale “Le indicazioni di cui ai precedenti articoli e i disegni allegati al contratto debbono ritenersi unicamente come norma di massima per rendersi ragione delle opere da costruire. L’amministrazione si riserva infatti l’insindacabile facoltà di introdurre, nell’esecuzione delle opere, quelle varianti che riterrà opportune, nell’interesse della buona riuscita e dell’economia dei lavori, anche se in contrasto con le indicazioni risultanti dai disegni e dal presente capitolato …”.

Analoghe erano le modalità operative e le prescrizioni relative all’altra Clinica, di cui alla deliberazione n. 731 del 28.7.1997, nella quale si legge che i lavori da realizzare consistono, tra l’altro, in “…tutto ciò che possa rendere la struttura finita e funzionale”.

Insomma, e a farla breve, era chiaro fin dall’inizio, a tutti i soggetti intervenuti, che la realizzazione delle opere in questione, data anche la loro particolarità tecnica, sarebbe passato attraverso un iter complesso e, sopra tutto, in larga parte ancora indefinito: ed invero, al momento delle relative deliberazioni era chiaro poco più che l’oggetto dei lavori, restando invece ancora da specificare le effettive caratteristiche delle relative opere, le cui iniziali descrizioni costituivano mere ipotesi di lavoro, come appunto era (o avrebbe dovuto essere) noto a tutti i soggetti a diverso titolo coinvolti.

Emerge, dunque, per tabulas, l’inconsistenza e l’inaccettabilità della principale argomentazione degli interessati e, per converso, la fondatezza, almeno in linea di principio, dell’appello principale: in altri termini, le variazioni fin dall’inizio rivelatesi necessarie (e che dettero luogo ad interruzioni dei lavori e lievitazione di spese) non furono dovute (solamente) a carenze progettuali, o a eventi sopravvenuti ed imprevedibili, e nessuno dei soggetti convenuti nel giudizio di primo grado avrebbe dovuto ignorare l’assoluta necessità di vigilare con continuità (ciascuno per la parte di rispettiva attribuzione) e intervenire sollecitamente per assistere la direzione lavori nella progettazione delle varianti e adeguamenti, che in questo caso non erano eventuali, ma certi e già dichiarati. Nessuno, in altri termini, avrebbe potuto sottrarsi, tentando di addossare l’intera responsabilità sugli altri: non i direttori (generale, amministrativo e sanitario), che predisposero e firmarono gli atti amministrativi; non il capo dell’ufficio tecnico (e direttore lavori), che predispose il capitolato e avrebbe dovuto occuparsi dell’alta vigilanza sulla successiva esecuzione; non, infine, il provveditore, chiamato a coordinarsi con il direttore lavori, per far sì che fossero acquistati macchinari adeguati e in tempi compatibili con la realizzazione di quegli specifici lavori di adattamento dei locali destinati ad accoglierli.

Tutta questa attività di vigilanza e coordinamento è colpevolmente e clamorosamente venuta meno, da parte di ciascuno, quando invece era indispensabile l’apporto di tutti per il raggiungimento del risultato, tenuto conto – si ripete - che erano da realizzare opere delle quali non erano definite le specifiche caratteristiche, le quali si sarebbero venute precisando man mano, in fase di effettiva esecuzione.

4.3.     Alla luce di quanto innanzi esposto, appare maggiormente chiaro il ruolo di ciascuno degli odierni interessati.

Del dr. Fatarella si è già detto innanzi: nei suoi confronti è stato emesso separato decreto, di definizione agevolata del giudizio di appello ai sensi dell’art. 1, commi 231 – 233 della legge 23 dicembre 2005, n. 266.

4.4.     Nessun dubbio potrebbe poi sussistere, secondo quanto prima chiarito, circa la piena responsabilità del direttore amministrativo dr. Colocci, e di quello sanitario, dr. Di Bitetto, nei confronti dei quali giustamente, ad avviso di questo Collegio, il primo Giudice ha emesso pronunzia di condanna.

Detta decisione va dunque in linea di massima confermata, pur con qualche precisazione relativamente al quantum, al fine di pervenire ad un giudizio maggiormente equo, tenuto conto dell’apporto causale di ciascuno alla produzione dell’evento dannoso.

4.5.     Per quel che riguarda allora il dr. Colocci, si ricorda che egli fu in carica fino al 24 giugno 1998, cioè nel periodo dell’inizio dei lavori di che trattasi.

L’interessato, nel proprio atto di appello, evidenzia il ruolo ricoperto e le deliberazioni cui prese parte, per concludere che “… le esigenze di coordinamento degli uffici nella fase di deliberazione/affidamento delle opere erano state soddisfatte; non così l’esigenza del controllo dell’effettiva esecuzione dei lavori”.

Ebbene, è proprio tale impostazione, burocratica e “cartolare”, che risulta a questo Collegio inaccettabile: laddove il direttore amministrativo mai avrebbe potuto limitarsi ad intervenire nella fase deliberativa, per poi sostanzialmente disinteressarsi di tutto il resto, specie – occorre ribadire – considerando la particolarità della situazione e l’assenza di progetti definiti. Egli avrebbe dovuto invece preoccuparsi maggiormente di verificare l’andamento effettivo dei lavori, il sorgere di eventuali problemi, le nuove esigenze che nel concreto iniziavano ad emergere, come testimonia la prima sospensione dei lavori della II Clinica già nel gennaio 1998 (cioè mentre l’interessato era ancora in servizio). Tutto ciò imponeva il ruolo di raccordo che ricopriva all’epoca il direttore amministrativo, e nulla di tutto ciò risulta essere stato fatto, come del resto lo stesso appellante conferma.

4.6.     Stesso discorso, mutatis mutandis, può essere ripetuto per il direttore sanitario, le cui responsabilità nella fattispecie appaiono essere appena di poco minori.

Il dr. Di Bitetto oppone, nell’occasione, il suo ruolo tecnico e non certo gestionale e il suo pensionamento avvenuto nel marzo 1999. In particolare, evidenzia che la normativa all’epoca vigente – art. 3 del D.Lgs. n. 502/1992, come modificato dal D.Lgs. n. 517/1993 – disponeva che tutti i poteri gestionali nelle aziende sanitarie erano del direttore generale (comma 6), mentre il direttore sanitario (comma 7) si limitava a dirigere i servizi sanitari e a fornire pareri al direttore generale.

Ma, anche qui, tutto ciò non esimeva l’interessato ad occuparsi più direttamente dell’andamento delle opere che interessavano il (futuro) lavoro delle equipes mediche da lui dirette, e a spendere il suo potere consultivo per informare la parte tecnica – come prevedeva il capitolato – delle specifiche esigenze, dei problemi insorti sul piano dell’idoneità delle strutture a rendere il servizio per il quale erano state pensate, etc..

E’ d’uopo, pertanto, ribadire l’inaccettabilità della posizione dell’interessato, che – come gli altri – tenta di chiamarsi fuori, ritenendo che il proprio apporto possa limitarsi agli atti strettamente indispensabili alla gestione del rispettivo settore: quando invece, in questo caso l’intervento effettivo e continuo (anche) del direttore sanitario era richiesto fin dalla delibera iniziale di autorizzazione ai lavori.

Va pertanto affermata la corresponsabilità dei due appellanti, pur dovendosi ridurre il quantum della relativa condanna. In concreto – e ferma restando la determinazione del danno, come operata dal Collegio di prime cure - questo Collegio ritiene equo determinare l’importo di detto risarcimento nella misura, in entrambi i casi comprensiva della rivalutazione monetaria, di € 20.000 (ventimila) a carico del dr. Colocci e di € 10.000 (diecimila) per il dr. Di Bitetto, tenuto conto del ruolo ricoperto, dell’attività comunque espletata e del periodo di permanenza nella rispettiva carica dirigenziale.

In tali limiti gli appelli possono essere parzialmente accolti.

5.         Va poi accolto, anche in tal caso parzialmente, l’appello principale del Pubblico ministero, che contesta le assoluzioni del dr. Palombi (capo Ufficio tecnico e direttore lavori) e del dr. Di Bitetto (capo Ufficio acquisti).

Le richieste dell’appellante, alla luce di quanto innanzi esposto, si appalesano sostanzialmente fondate. E’ indubbio che i due su detti funzionari, per i ruoli rivestiti, siano anch’essi corresponsabili della situazione di generale lassismo operativo e di negligenza gestionale sopra descritta.

In tale confuso contesto, vengono in particolare rilievo le colpe del direttore dei lavori (e capo ufficio tecnico), che indubbiamente rappresentava la snodo principale, attraverso il quale passavano tutte le diverse attribuzioni, e che avrebbe perciò dovuto raccogliere e smistare esigenze, problemi, sopravvenienze e richieste di tutti: ma, a tutta evidenza, così non è stato.

Anche il Provveditore, che aveva il compito di assicurare la fornitura delle attrezzature adeguate e in tempi coerenti con la fine delle opere murarie e strutturali, ha la sua parte di responsabilità se ciò non avvenne; responsabilità che tuttavia va determinata in misura sensibilmente ridotta rispetto agli altri, anche perché, come risulta dagli atti, il dr. Graziano ha poi cercato di porre riparo, in una qualche misura, alle iniziali carenze di coordinamento che hanno caratterizzato (anche) il suo operato.

In definitiva, il dr. Palombi va condannato, in parziale accoglimento delle richieste dell’appellante principale, alla somma di € 30.000,000 (euro trentamila), comprensiva di rivalutazione monetaria; per il dr. Di Bitetto appare invece equa la condanna alla minore somma di € 5.000,000 (euro cinquemila), anch’essa comprensiva di rivalutazione monetaria.

6.         A tutti gli importi di condanna sopra indicati vanno aggiunti gli interessi legali, a decorrere dalla data di notifica della presente sentenza fino al completo soddisfo.

Le spese del presente grado di giudizio, in favore dello Stato, seguono da ultimo la soccombenza e sono poste, in via solidale e in parti uguali, a carico dei condannati.

P.   Q.   M.

La Corte dei conti – Sezione prima giurisdizionale centrale d’appello, previa riunione in rito, ogni contraria istanza ed eccezione reiette:

1)     PROVVEDE, con separato decreto, a definire la posizione dell’appellante incidentale dr. Riccardo FATARELLA, di cui al giudizio n. 30214;

2)     ACCOGLIE PARZIALMENTE l’appello principale del Procuratore regionale (n. 29972) e, per l’effetto:

-     CONDANNA il dr. Luigino PALOMBI al risarcimento, nei confronti del Policlinico “Umberto I” di Roma, della somma di € 30.000,000 (euro trentamila/00), comprensiva di rivalutazione monetaria, più interessi legali a decorrere dalla data di notifica della presente sentenza fino al soddisfo;

-     CONDANNA il dr. Antonio DI BITETTO al risarcimento, nei confronti del Policlinico “Umberto I” di Roma, della somma di € 5.000,000 (euro cinquemila/00), comprensiva di rivalutazione monetaria, più interessi legali a decorrere dalla data di notifica della presente sentenza fino al soddisfo;

3)     ACCOGLIE PARZIALMENTE l’appello incidentale del dr. Vittorio COLOCCI (n. 30050) e, per l’effetto, lo CONDANNA al risarcimento, nei confronti del Policlinico “Umberto I” di Roma, della somma di € 20.000,000 (euro ventimila/00), comprensiva di rivalutazione monetaria, più interessi legali a decorrere dalla data di notifica della presente sentenza fino al soddisfo;

4)     ACCOGLIE PARZIALMENTE l’appello incidentale del dr. Giuseppe GRAZIANO (n. 30362) e, per l’effetto, lo CONDANNA al risarcimento, nei confronti del Policlinico “Umberto I” di Roma, della somma di € 10.000,000 (euro diecimila/00), comprensiva di rivalutazione monetaria, più interessi legali a decorrere dalla data di notifica della presente sentenza fino al soddisfo;

5)     CONDANNA, da ultimo, i sigg.ri PALOMBI, DI BITETTO, COLOCCI e GRAZIANO, in solido ed in parti uguali, alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio in favore dello Stato; spese che, all'atto della presente decisione, sono liquidate in € 1091,08 (€ millenovantuno/8

___________________________________________________).

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 24 marzo 2009.

L'ESTENSORE

f.toPiergiorgio Della Ventura

IL PRESIDENTE

f.toVito Minerva

 

 

                        Depositata in Segreteria

                        il .…..21/07/2009..............................

                                   Il Dirigente

 

                                                        f.to Maria Fioramonti